| ·÷± Taty |
| | Tadaaaaaaaaaaaaaaaaaaaan! xD Ecco a voi il primo capitolo! ^^ Spero vi piaccia! ^^ Buona Lettura! Bacioni a tutte! <3 .Uno; “Davvero? Non poteva andare meglio!”
Silenzio di tomba. Non è normale che non ci sia rumore in casa a quest’ora, mio padre fa sempre casino quando si tratta di preparare l’attrezzatura per andare a lavorare. Oggi, stranamente, non sento niente di tutto ciò, ed è abbastanza preoccupante. «Papà?» esco dalla mia stanza, verso le scale che portano al piano inferiore, nella speranza di trovare mio padre indaffarato a preparare la colazione. Ancora niente, silenzio assordante. Sento solo l’inesorabile ticchettio dell’orologio appeso alla parete del salotto che rimbomba tra le pareti di tutte le stanze circostanti e il rumore del parquet che scricchiola sotto i miei passi. Sceso l’ultimo gradino delle scale, mi dirigo verso la cucina, mi affaccio dalla porta e vedo tutto in ordine e nessuno all’interno. Perplessa, grattandomi la testa, torno indietro risalendo le scale. «Papà?» domando con un po’ di perplessità nella voce. Come risposta sento un colpo di tosse provenire dalla camera da letto di mio padre. «Sono qui Niki» mi risponde con un rantolo. Mi avvicino alla sua stanza e, lentamente apro la porta. «Papà, tutto bene?» domando preoccupata. Se ne sta rannicchiato sotto le coperte tirate fino al collo, la borsa dell’acqua calda in fondo al letto sopra i piedi e le finestre chiuse, nonostante sia Giugno inoltrato. «Credo di avere l’influenza. Non potrò lavorare oggi» mi dice con voce nasale, seguito da un brutto colpo di tosse e da una bella strombazzata di naso, soffiandoselo con un fazzoletto che tiene vicino al letto «Mi dispiace Stellina» conclude. Il suo viso non è uno dei migliori: pallido, con il naso rosso, gli occhi socchiusi dalla stanchezza e delle goccioline di sudore sulla fronte. «Ma come? Io ci tenevo a lavorare con te oggi!» faccio il labbruccio da bimba triste e mi siedo accanto a lui, stando attenta a non farmi contagiare. «Lo so Stellina, ma non riesco a muovermi, sono troppo stanco» la sua voce è quasi un sussurro «Però potresti andare lo stesso, anche senza di me» si è accorto della mia espressione sempre più triste e alla fine deciso ciò. Alzo lo sguardo impaurito e sorpreso dalla proposta appena fatta. «Ma stai scherzando?» non credo alle mie orecchie. «Sono serissimo! Sono sicuro che te la caverai benissimo anche senza il mio aiuto, e poi ormai sei abbastanza brava nel maneggiare la reflex e fare foto» il discorso viene interrotto da un colpo di tosse «E poi sei diplomata e te la saprai cavare egregiamente» si soffia ancora una volta il naso. Lo guardo con compassione e comprensione. Ci penso su un attimo «Va bene papà, mi hai convinta, andrò io a fare il tuo lavoro» mi allungo verso lui e gli stampo un tenero bacio sulla guancia. «Grazie Stellina, ti devo un favore, adesso avverto che non ci sono e che ci sei solo tu» con mano stanca, si allunga verso il comodino per prendere il cellulare e fare la chiamata. «Io vado a prepararmi, riposati e non ti sforzare papà, sai che per qualsiasi cosa tu abbia bisogno, non esitare a chiamarmi, ti voglio bene» mi avvicino alla porta per uscire dalla stanza. «Si Stellina, non preoccuparti, divertiti e fai un buon lavoro. Ti voglio bene anch’io» con una mano mi manda un bacio e, lentamente, mi chiudo la porta alle spalle. “Stellina” .. quel soprannome me lo aveva dato mia madre, quando ero ancora un piccola bambina tutto pepe e allegria. Ogni volta che era una bella serata, non perdevo mai un’occasione per andare in cima alla mia collina preferita con lei a guardare le stelle. Non sono mai stata un’appassionata di astronomia – e neanche adesso sinceramente – ma le stelle in se per se mi hanno sempre affascinato. Anche solo guardarle con il naso per aria, non capire le costellazioni e cose varie, mi sono sempre piaciute le stelle. Quei piccoli puntini bianchi che decoravano il manto nero della notte. Sembrava un bellissimo vestito nero di velluto che rivestiva la Terra, impreziosito da tantissimi diamanti, facendolo scintillare. La mamma mi ripeteva sempre che la nonna ci guardava da una di quelle stelle, dalla più luminosa che riuscissi a vedere. Tuttora sono convinta che sia così. Mi dirigo con passi felpati verso il bagno, cercando di fare meno rumore possibile per non disturbare mio padre, per fare una doccia al volo. Avvolta nell’asciugamano, in punta di piedi, entro nella mia stanza, dove avevo già preparato i miei vestiti posti sopra al letto. Pantaloncini di jeans, appena sopra al ginocchio, Convers e la mia canotta preferita. Mi vesto con calma e mi metto un velo di trucco, lo stretto indispensabile per coprire le occhiaie. Non sono una ragazza cui piace molto truccarsi, preferisco essere acqua e sapone piuttosto che sembrare un clown con chili e chili di fondotinta spalmato in faccia e con l’ombretto che mi arriva fino alle orecchie. Preferisco di gran lunga essere al naturale e poi, le ragazze “nature”, sono le migliori. Almeno così, riesci a capire quel’è la sua vera identità e sai che non si nasconde dietro ad una maschera di “Make-up” e – se devo essere sincera – alcune delle mie coetanee, si truccano veramente male, sembrano ridicole conciate in quel modo assurdo. «Niki è tutto apposto! Ho avvisato che ci sei solamente tu al concerto» la voce sforzata, proveniva dalla stanza di mio padre fino a raggiungere le mie orecchie, che mi fanno fare una smorfia di compatimento, per le sue povere corde vocali che hanno, ormai, raggiunto il limite. «Va bene papà, adesso però, riposati e non parlare, altrimenti la tua gola ne risentirà!» ha seguito il mio consiglio, non mi risponde e mi s materializza un sorriso sotto il naso. Metto in ordine le ultime cose e mi dirigo verso la porta, pronta per partire. Mi guardo attorno per fare mente locale e per capire se ho preso tutto quello che mi serve per lavorare. Convinta di avere tutto, prendo le chiavi della macchina e mi chiudo la porta di casa alla spalle. Con il sole che mi bacia il viso, mi metto gli occhiali da sole e, dopo aver caricato l’attrezzatura in macchina, mi siedo al posto di guida e accendo il motore. Con la musica a tutto volume, l’ansia che mi sale in corpo ogni minuto che passa, parto per andare a lavorare.
Continua.. Commentini..! ^^
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